Commenti sulla razza a cura di Paolo Bambo

A differenza di molti antichi cani da caccia quella del Bracco Italiano è una razza recente. Ovviamente l’incipit è una provocazione eretica. Essa fa riferimento unicamente al fatto che il nostro braccone attuale, nasce ufficialmente, infatti, attraverso il riconoscimento di uno standard cosiddetto “unificato”, solamente nel 1923.
In quell’anno successe che i nostri bracchi nazionali, quali il “leggiero”, sì proprio leggiero con la “i”, ed il pesante, venissero unificati in una unica razza, con il rimpianto di molti. L’odierno Bracco Italiano può, quindi, essere considerato la confluenza di più razze o, quantomeno, la sintesi dei diversi tipi (fissati) di una medesima razza. Tale nuovo standard, in uno sforzo improbo e forse sacrilego, avrebbe, quindi, dovuto raccoglierli tutti.
I bracchi possono vantare origini antichissime, di cui esistono varie testimonianze letterarie e indicazioni pittoriche sin dal medioevo. A causa: a)delle difficoltà nelle comunicazioni, b)di un disomogeneo utilizzo specifico e c)di ambiti venatori anche molto diversi, nel tempo, si svilupparono geneticamente e nel fenotipo, alcuni ceppi con radici e tratti morfologici comuni, ma con marcate differenze nella sostanza strutturale e nel soma. Tali dissonanze morfologiche erano contemporaneamente matrice e frutto di selezioni locali che diedero vita, ad esempio, all’ormai leggendario “Bracco Piacentino” o al piemontese “del Sesia”, come diedero vita ai cani che prendevano il nome dalle famiglie che li allevavano (vedi i “Ranza”, o gli “Aschieri” ed altri ancora).  Per non inquinare l’immagine della più famosa razza italiana nel mondo, lasciamo, però, alle parole di un grande cinofilo contemporaneo, Lucio Marzano, sicuramente uno dei più preparati braccofili che si possa vantare,  l’illustrazione delle origini e storia della razza, corredate da sue note personali circa lo stato di salute attuale e previsione futura sulle sorti del Bracco Italiano.

Paolo Bambo

 
 
 

Commenti sulla razza a cura di Lucio Marzano

Col nome Bracco si definivano nel medioevo i cani da caccia in generale , sia quelli da seguita che quelli da sangue e questo in tutta Europa, li chiamavano con un nome dalla radice comune : Braco in Spagna, Braque/Brachet in Francia, Brak/Brache in Germania  e Brac in Inghilterra. Le prime citazioni sono di Brunetto Latini (il maestro di Dante) e risalgono al 1265: ”gli altri –cani -son Bracchi, con orecchi pendenti e grandi  e conoscono al fiuto  ove passa bestia o uccello”. Dalla descrizione del Latini  si evince che ancora il nostro non era un cane da ferma. Anche Dante parla dei Bracchi  li cita, nel Convivio “…il Bracco deve avere buon naso” e nel suo  sonetto “sonar bracchetti e cacciatori aizzare…”. Nel trecento abbiamo notizie precise  dell’esistenza  di Bracchi fermatori , da rete e da falco, come si vede   per esempio nel famoso affresco del Lorenzetti, cani che indicavano la selvaggina con la ferma, attendendo che uomini a cavallo o a piedi ricoprissero con la rete cane ed uccelli, o che segnalavano la  selvaggina   fermandosi, in modo che il falconiere apprestasse il falco per liberarlo appena  gli uccelli si fossero messi in ala.
Fra il 300 ed il 500 il Bracco fu allevato da tutte le casate nobili italiane, che ne andavano molto fieri e li utilizzavano per preziosi omaggi valutandoli al pari dei cavalli da sella.
I Gonzaga furono famosi allevatori di Bracchi , a Milano Barnaba Visconti teneva  migliaia di cani:  Bracchi, levrieri e mastini, nella famosa “ca di can”  e molti altri erano affidati ai “bracchieri” che periodicamente dovevano presentarli e se i cani erano troppo magri o troppo grassi, i custodi erano sonoramente bastonati.
Con l’avvento delle armi da fuoco, nel 1500 il cane da ferma  conobbe un grande sviluppo ed in quel tempo non v’era altro cane da ferma che il Bracco italiano.
Nel 1537 , Maria de’  Medici, regina di Francia  chiedeva al padre, Lorenzo duca di Toscana , di inviarle  “una bella e numerosa compagnia di quei cani Bracchi che tanta bravura dimostrano” ed aggiunge che ne vorrebbe due o tre tutti bianchi, per contrapporli alla muta del re (i famosi chiens blancs du roi, che pero’ erano segugi, antesignani di  alcune delle più famose razze da grande vénérie i Billy ed i Porcelaine) )  e raccomanda che “siano gagliardi e già bravi alla caccia ché da inseguimento  ne  hanno anche  troppi”, al che il Duca Lorenzo rispose che non poteva inviarle che undici cani  di pura razza bracca, ma macchiati ed uno solo bianco essendo questi rarissimi.
Nel 600  le armi da fuoco migliorarono molto ed i Bracchi sapevano servirle egregiamente.
Il bracco di  allora, In base agli scritti del Valvasone, ricorda moltissimo le caratteristiche morfologiche e di lavoro  di quello di oggi
Il 700 fu il secolo d’oro del Bracco Italiano, a quell’epoca  non erano ancora comparse le  razze inglesi , tedesche e francesi da ferma,  né vi erano ancora le prove o field -trials che dir si voglia e i bracchi  erano allevati  gelosamente dai nobili casati italici e solo raramente ceduti. Erano cani  veloci, intelligenti, docili e potenti  (come dice il Cancellari) ed, a mio parere, così dovrebbero essere anche oggi.
Nell’800  il Bracco italiano conobbe un periodo di decadenza  motivato dall’inurbamento col conseguente’abbandono delle residenze di campagna. I bracchi rimasero così alla mercé dei fittavoli, che incrociavano i cani che avevano in casa  andando fatalmente in consanguineità e li alimentavano in modo insufficiente (allora era difficile alimentare gli uomini, figuratevi i cani). Si aggiunga che nella seconda metà dell’ottocento cominciarono a comparire le razze inglesi, selezionate dai gentleman britannici in competizione fra loro, veloci, sani e dalle grandi prestazioni.
Così abbandonato,  il nostro divenne linfatico, grinzoso e poco mobile, solo lontano parente del  “bracco dalla impetuosa carriera” del 700.
A complicare le cose, alla fine della prima guerra mondiale, da cui il bracco era uscito decimato e ridotto quasi all’estinzione,  alcuni fra i maggiori cinofili delle poca, eravamo nel 1923, per cercare di limitare i danni, unirono le due razze, il leggero o bracchetto ed il pesante o nobile, inserendo nello standard i pesi e e le taglie massime  di uno e le minime   dell’altro.
Il “leggero”  o bracchetto piu’ dinamico  ed adatto ai terreni montani e collinosi e certo piu’ attrezzato per fronteggiare  la concorrenza degli inglesi e   delle razze  francesi e tedesche di recente costituzione, era accusato di aver subito l’influenza di sangue pointer,  cosa comune a tutte le razze da ferma dell’epoca e della quale non era immune neanche il “nobile” .  Le differenze morfologiche vennero estese ad entrambi: il peso e l’altezza vennero allargati in modo da  farvi accettare le due razze con delle forbici semplicemente mostruose, che ancora oggi permangono nello standard ufficiale, la canna nasale  che era retta o leggermente concava per leggero e montonina per il nobile, divenne  retta o montonina,  le orecchie accettate furono quelle del nobile, mentre il bracchetto le aveva inserite piu’ in alto.
Così , estintesi alcune  correnti di sangue  prestigiose di “leggieri”  come quella degli Aschieri ,  i cani del re cacciatore Vittorio Emanuele II  e dei marchesi Bagnasco,  i Sesiaem ed i Tregolo  il bracchetto scomparve  e rimase il bracco  nella sua accezione “pesante” , lento, macchinoso, poco adatto alle esigenze della caccia del tempo e destinato a soccombere di fronte alla concorrenza di razze selezionate  in funzione della venaticità.
Alla fine della seconda guerra mondiale , il bracco italiano era quasi scomparso e comunque  negletto  dai cacciatori, con l’eccezione di pochi  appassionati.
Dapprima Ciceri ed Amaldi  riportarono il Bracco alla morfologia tradizionale e successivamente, dagli  anni 70 in avanti, una  selezione, basata sui soggetti che si mettevano in luce nelle prove, ha  progressivamente  privilegiato i cani piu’ asciutti , piu’ dinamici, con pesi e misure che stanno a metà dell’ assurda forbice tuttora esistente  ( a dimostrazione che il conservatorismo tradizionalista  rimane ben radicato nell’ambito dei braccofili)  ma molto rimane ancora da fare, troppi sono i bracchi non utilizzati a caccia e troppi i soggetti con particolari morfologici evidenziati al di là di quanto prevede lo standard di standard di razza.

Lucio Marzano